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Jonathan Edwards, teologo del cuore e dell'intelletto


INTRODUZIONE

Jonathan Edwards, pastore congregazionale Nord-Americano che visse nel XVIII secolo, fu uno dei personaggi religiosi più notevoli della storia della chiesa degli ultimi tre secoli. Gli studiosi della sua vita e delle sue opere lo considerano il maggior filosofo e teologo degli Stati Uniti, ed il più importante ed influente dei calvinisti americani. [1]

Benjamin B. Warfield cita la testimonianza del filosofo francese Georges Lyon, secondo il quale, se Edwards fosse rimasto nei campi della filosofia e della metafisica, senza entrare in campo teologico, avrebbe occupato “un posto al fianco di Leibnitz e Kant tra i fondatori dei sistemi immortali”. [2]

Il fatto è che, essendo in gioventù attratto dalla filosofia, specialmente sotto l’influenza dei gradi empiristi e scienziati inglesi come John Locke (1632-1704) e Isaac Newton (1642-1717), eventualmente le preoccupazioni di tipo religioso divennero predominanti nella sua vita e nel suo pensiero, e tali preoccupazioni lo portarono al ministero pastorale e alla teologia.

Edwards si distingue per altri fattori, oltre alla sua notevole produzione filosofica e teologica. Egli fu anche uno straordinario predicatore, i cui sermoni, proferiti con la più sincera convinzione, avevano un forte impatto. [3] In virtù di questo, egli divenne uno dei protagonisti del celebre movimento religioso americano conosciuto come Grande Risveglio della fede evangelica (1735-44). Inoltre, con il suo talento nella scrittura, Edwards divenne il principale studioso ed interprete del Risveglio, riportando descrizioni ed analisi dei fenomeni spirituali e psicologici che fino ad ora non sono mai stati superati.

Infine, Edwards colpisce per la sua grande sintesi tra fede e ragione, tanto nella vita personale quanto nella sua produzione letteraria. Dotato di una mente inquisitrice e disciplinata, e abituato a riflettere su un tema fino alle sue più profonde implicazioni, egli fu anche un uomo di spiritualità profonda e trasbordante, che aveva come una delle sue maggiori preoccupazioni la celebrazione della grazia e della gloria di Dio.

L’obiettivo di questo articolo è quello di offrire un’introduzione allo studio di Jonathan Edwards, l’uomo, il leader, il pensatore cristiano. Inizieremo con una sintesi della sua vita e della sua carriera ministeriale, continuando con la presentazione e classificazione dei suoi scritti e un’analisi di alcuni dei punti salienti della sua riflessione teologica, tra i quali le sue idee riguardo al Risveglio. [6]

Biografia

Jonathan Edwards nacque in East Windsor, Connecticut, il 5 Ottobre 1703, figlio di un pio ministro congregazionale. Precoce e religioso sin dalla sua prima infanzia, a 12 anni scrisse ad una delle sue sorelle:

“Per la meravigliosa bontà e misericordia di Dio, c’è stata in questo luogo una straordinaria attuazione e spargimento dello Spirito di Dio, … Ho ragione di credere che sia ora diminuito in una certa misura, ma spero non di molto. Circa tredici persone si sono unite alla chiesa in uno stato di piena comunione.” [7]

Dopo aver elencato il nome dei convertiti, aggiunse:

“Penso che molte volte più di trenta persone si siano riunite di Lunedì per parlare con il Padre riguardo alla condizione delle loro anime.”

Le circostanze di Edwards stimolarono in modo particolare la sua vita spirituale e intellettuale. Iniziò a studiare latino a sei anni, e a tredici aveva già acquisito una conoscenza rispettabile di greco ed ebraico. Dopo quattro anni di studi al College di Yale, a New Haven, Edwards ottenne la sua laurea nel 1720. In seguito, approfondì i suoi studi teologici nella stessa istituzione, ottenendo la sua laurea magistrale nel 1722. Dopo essere stato pastore in una chiesa presbiteriana di New York per otto mesi (1722-23) e assistente di un professore di Yale per due anni, nel 1726, a 23 anni d’età, Edwards iniziò a lavorare come pastore assistente di suo nonno, Solomon Stoddard (1643-1729), il famoso ministro della Chiesa di Northampton, Massachusetts. Questa chiesa era probabilmente la più grande e influente della provincia, ad eccezione di quella di Boston. Ad un certo punto raggiunse i seicento venti membri, includendo quasi tutta la popolazione adulta della città.

Nel Luglio del 1727, Edwards si sposò con Sarah Pierrepont, di 17 anni, figlia di James Pierrepont, il conosciuto pastore della chiesa di New Haven, e pronipote del primo perfetto di New York. Gli storici sottolineano la grande armonia, l’amore e il cameratismo che caratterizzarono la vita della coppia. [8] Amavano andare a cavallo sul calare della sera e prima di tornare trascorrevano insieme momenti di devozione.

Jonathan e Sarah ebbero 11 figli, tutti i quali arrivarono all’età adulta, cosa rara in quei giorni. Nel 1900, un reporter identificò 1400 discendenti degli Edwards. Tra di loro si trovavano 15 dirigenti di scuole superiori, 65 professori, 100 avvocati, 66 medici, 80 impiegati pubblici tra cui 3 senatori e 3 governatori di stato, oltre a banchieri, impresari e missionari.

Nel 1729, con la morte di suo nonno, Jonathan divenne il pastore principale della Chiesa di Northampton, nella quale, attraverso la sua poderosa predicazione, avvenne un grande risveglio religioso cinque anni più tardi (1734-1735). [9] Il Grande Risveglio, iniziato alcuni anni prima tra i presbiteriani e i riformati olandesi in Pennsylvania e New Jersey, crebbe attraverso le predicazioni di Edwards, e godette del suo appoggio nel 1740, con il lavoro itinerante del predicatore inglese George Whitefield (1714-1770). [10]

Nel 1750, dopo 23 anni di pastorato, Jonathan Edwards fu cacciato dalla sua chiesa; il motivo principale fu la sua insistenza sul fatto che solo le persone convertite potessero partecipare alla Santa Cena, diversamente da quanto sostenuto da suo nonno. Nel suo sermone d’addio, dopo aver avvertito la chiesa delle contese in essa presenti ed i pericoli che esse rappresentavano, concluse così:

“Pertanto, desidero esortarvi sinceramente, per il vostro futuro, a stare attenti d’ora in avanti allo spirito controverso. Se desiderate vedere giorni felici, cercate la pace e impegnatevi ad ottenerla (1Pietro 3:10-11). Che la recente contesa sui termini della comunione cristiana, essendo stata la maggiore, sia anche l’ultima. Mentre vi predico questo sermone d’addio, vorrei dirvi, come l’apostolo Paolo disse ai Corinzi in 2Corinzi 13:11: “Del resto, fratelli, rallegratevi, ricercate la perfezione, siate consolati, abbiate un medesimo sentimento, vivete in pace; e il Dio d'amore e di pace sarà con voi.” [11]

Nell’anno seguente, Edwards andò a Stockbridge, una regione remota della colonia del Massachusetts, dove lavorò come pastore dei coloni e dei missionari tra gli indios. Nel 1757, la sua eccellenza come educatore e la sua fama di teologo e filosofo fecero sì che egli fosse invitato ad essere presidente del College del New Jersey, la futura Università di Princeton. Il 22 Marzo 1758, un mese dopo la sua inaugurazione, Edwards morì per complicazioni dovute ad un vaccino contro il vaiolo.

Contesto religioso e intellettuale

Quando Jonathan Edwards iniziò il suo ministero, la regione nella quale viveva, il New England, era già stata colonizzata dagli inglesi e dai loro discendenti da cento anni. I colonizzatori furono i celebri puritani, calvinisti che lottarono per una chiesa più pura nel loro paese d’origine e che eventualmente partirono per il Nuovo Mondo al fine di vivere senza ostacoli in accordo con le loro convinzioni religiose. Giungendo in Massachusetts, prima a Playmouth (1620) e poi a Salem e Boston (1629-30), essi cercarono di creare una comunità veramente cristiana, e una chiesa composta da persone convertite e seriamente impegnate nei confronti di Dio. Nonostante alcuni problemi e una certa intolleranza per i gruppi che la pensavano diversamente, riuscirono a realizzare le loro idee per un certo periodo.

Eventualmente, dopo un periodo iniziale di sofferenza e bocconi amari, i coloni iniziarono a prosperare materialmente in quella nuova terra piena di opportunità. Alla fine del XVII secolo, la vita nel New England era per la maggior parte pacifica e confortevole. La maggioranza delle persone apparteneva alla middle class, e quasi non c’era povertà. Anche il livello educativo era relativamente alto. [20] Tutto questo progresso era stato raggiunto grazie ai valori religiosi ed etici dei puritani, come il loro amore per il lavoro, la loro disciplina di vita, il loro rifiuto dei vizi e la preoccupazione di essere buoni amministratori della grazia di Dio (1P4:10, N.d.T.). Tuttavia, parallelamente alla prosperità materiale, si manifestò un declino del fervore religioso tra le nuove generazioni. Il cristianesimo di molti divenne meramente nominale; la mondanità e l’apatia spirituale colpirono la chiesa.

Allo stesso tempo, le nuove ideologie arrivate dall’Europa stavano esercitando un’influenza sempre maggiore sulla società. L’Età della Ragione era caratterizzata dalla convinzione che l’uomo fosse capace di fare il bene, specialmente seguendo i dettami della ragione. Il razionalismo illuminista e la sua versione religiosa, il deismo, erano una minaccia non solo per le convinzioni evangeliche e riformate dei puritani, ma anche per gli stessi fondamenti del cristianesimo storico. Molti intellettuali europei e americani rifiutavano l’idea di una umanità peccatrice sottoposta al giudizio di un Dio giusto.

Come uomo colto e inquisitore, che prendeva seriamente le realtà e le sfide del proprio tempo, Edwards si ripropose, nelle sue riflessioni e nella pratica, di reagire contro a questo doppio attacco alla fede riformata. Non solo si sforzò affinché la chiesa recuperasse ciò che era stato positivo nell’esperienza e nel contributo dei puritani, ma riuscì a farlo in modo intellettualmente giustificabile, cercando di dimostrare che non esisteva alcun conflitto tra fede e ragione.

[…

]

La Centralità di Dio

La spiritualità e la pratica pastorale di Edwards videro il proprio fulcro nel suo concetto di Dio. La sua teologia, le sue nozioni riguardo al Risveglio, la sua cosmovisione e a sua etica individuale e sociale trovano in esso il loro punto di partenza. Per Edwards, come sottolinea Lloyd-Jones, la religione è, prima di tutto, un incontro vivo ed esistenziale con Dio. [29] Edwards diede una forte enfasi alla sovranità, all’amore e alla gloria di Dio. Lo stesso proposito di Dio nel creare l’universo fu quello di esprimere il Suo amore, comunicare con le creature, e rivelare la Sua gloria e il Suo splendore. Per Edwards, come disse Marsden, “l’essenza della vera esperienza religiosa consiste nel prostrarsi alla vista della bellezza di Dio, nell’essere attratti dalla gloria delle Sue perfezioni, nel sentire il suo amore irresistibile”. [30]

Così opera la grazia sovrana di Dio: il cuore umano è trasformato dal suo potere irresistibile, ma questo potere non è esercitato come una forza esterna imposta alla volontà. Per prima cosa, quando gli occhi sono aperti e la persona è accattivata dalla bellezza, dalla gloria e dall’amore di Dio, quando la persona vede questo amore manifesto supremamente nella bellezza dell’amore sacrificale di Cristo, essa è allegramente spinta ad abbandonare l’amor proprio come principio centrale della sua vita, dandosi all’amore di Dio. [31] Edwards descrive il lato umano di questa esperienza rigeneratrice come il ricevimento di un sesto senso – un senso della bellezza, della gloria e dell’amore di Dio.

Stando così le cose, la conoscenza di Dio nella vera esperienza cristiana sarà una conoscenza “sensibile”. Egli è diverso da una mera conoscenza speculativa, così come il sapore del miele è diverso dalla semplice affermazione “il miele è dolce”. Pertanto, la vera esperienza cristiana non si basa appena sulla conoscenza e affermazione delle dottrine cristiane vere, per quanto importanti. È per prima cosa una conoscenza affettiva, un senso delle verità che le dottrine descrivono. È ciò che Edwards afferma nel suo celebre sermone “Una luce divina sovrannaturale”:

Colui che è spiritualmente illuminato […] non crede in maniera meramente razionale che Dio sia glorioso, ma ha un senso della natura gloriosa di Dio nel suo cuore. Non è solamente una percezione razionale del fatto che Dio sia santo, e del fatto che la santità sia una cosa buona, ma è una percezione del carattere attrattivo della santità di Dio. Non è la semplice conclusione speculativa che Dio sia pieno di grazia, ma il senso di quanto Dio sia amorevole, il senso della bellezza di questo attributo divino.[32]

Oltre ad affermare la centralità di Dio nella vita spirituale e nell’esperienza religiosa del credente, Edwards la trova anche in relazione al mondo materiale. Le nuove concezioni scientifiche e filosofiche dell’Era della Ragione davano enfasi a un universo sempre meno dipendente da Dio. Egli sembrava inutile in un cosmo che funzionava indipendentemente, seguendo le proprie leggi. L’Essere Supremo dei deisti era molto distante dalla propria creazione. Edwards si oppose a queste idee, affermando che Dio dovesse occupare un punto centrale in tutta la visione della realtà. L’essenza di Dio è amore, il che per Edwards significava che Dio comunicasse continuamente il Suo carattere, la Sua bellezza, il Suo amore e la Sua gloria alle Sue creature. Dio non è solamente il Creatore, ma in ogni momento Lui sostiene la propria creazione e parla attraverso essa. Dio è distinto da ciò che ha creato, tuttavia ciò che ha creato ha una qualità personale, essendo parte del linguaggio con il quale Dio esprime la Sua bontà e la Sua gloria alle Sue creature. [33]

Dalla teologia all’etica

[…]

Non si può separare l’autentica esperienza di Dio dai frutti individuali che necessariamente produce. È proprio questa l’enfasi del Trattato sugli affetti religiosi, nel quale Edwards analizza il Risveglio a partire dall’esperienza personale del credente. Enumerando i segnali affidabili e inaffidabili della vera spiritualità, egli fornisce i princìpi validi attraverso i quali è possibile verificare se un’opera spirituale o un movimento religioso proceda effettivamente dallo Spirito di Dio. Luiz Roberto F. Mattos sintetizza tali princìpi come segue:

Qualsiasi manifestazione esterna risultante da esperienze straordinarie non costituisce un segnale affidabile di spiritualità e non evidenzia un’opera genuina dello Spirito.

Un’opera autentica dello Spirito di Dio produce una trasformazione radicale della natura dell’anima individuale, che si manifesterà in una condotta e in pratiche totalmente nuove, rivelando progressivamente la propria immagine di Cristo impiantata nel credente. [39]

In altre parole, l’esperienza religiosa vera produce un cambiamento etico individuale che eventualmente si esternerà alla collettività. Se tale cambiamento non può essere recepito, sia nell’individuo o nella comunità, il Risveglio dovrà essere contestato come opera genuina di Dio. Questo aspetto sociale del Risveglio è elaborato da Edwards nel suo trattato inconcluso Storia dell’opera della redenzione, nel quale, dal punto di vista della sua posizione post-millenista, Edwards sostiene che una collettività che sperimenta un Risveglio presenterà i segni della manifestazione del Regno di Dio. Questa società “sarà drammaticamente trasformata, non da qualche sforzo umano politico o rivoluzionario, ma dall’etica del Regno che permea ogni legame”. [40]

Per finire, è nelle magnifiche opere gemelle Il fine per il quale Dio creò il mondo e La natura della vera virtù, così come nella ricca serie di sermoni intitolata La carità e i suoi frutti, che Edwards esprime alcuni dei suoi più sublimi pensieri riguardo all’esperienza religiosa, concentrandosi, come sempre, fermamente su Dio. Nonostante esistano fini subordinati per i quali Dio decise di creare il mondo, tra i quali la felicità dell’essere umano, può esserci solamente un fine ultimo e supremo, ovvero, la manifestazione della gloria dello stesso Dio. La felicità è parte del proposito finale di Dio per l’essere umano, ma non la felicità manifesta in uno stile di vita egocentrico, ma quella che risulta dal vivere per la gloria di Dio. Questo è evidenziato prima di tutto attraverso l’amore, prima per Dio e poi per gli altri uomini. […]

Conclusione

Jonathan Edwards fu totalmente estraneo alla separazione tra “cuore” e “testa”, che tante volte aveva colpito gli evangelici. Una delle peculiarità della sua opera teologica è proprio il fatto di unire il più ricco sentimento religioso ai più elevati poteri intellettuali. Da un lato, come molti filosofi secolari dell’Illuminismo, egli credeva che l’essere umano fosse capace di raziocinare adeguatamente e risolvere problemi in modo logico. D’altro lato, Edwards fece una sintesi tra fede e ragione che lo pose in continuità con gran parte della storia del pensiero cristiano.

Nonostante sia stato un pensatore indipendente e originale, egli era conscio dell’opera dei suoi precursori, come riformatori e puritani, e sicuramente fu influenzato da loro. Nonostante non fosse stato un seguace servile di Calvino, Edwards fu un difensore convinto del calvinismo. La sua originalità sta non tanto nel contenuto del suo pensiero, quanto nel suo modo di pensare, che ha prodotto una gran quantità di ricchezze di argomenti nuovi in appoggio sulle antiche dottrine della grazia. Warfield opina che la difesa del calvinismo da parte di Edwards aveva arrestato per più di un secolo la conquista del New England da parte dell’arminianesimo. [42]

Come denota Lloyd-Jones, Edwards si distingueva per l’equilibrio tra le sue posizioni logiche e pratiche. [43] Combatteva contro l’arminianesimo, e allo stesso tempo si opponeva all’iper-calvinismo. Egli affermò con uguale enfasi l’importanza di una vita pia, di devozione e di culto dell’interiorità, ma anche la necessità del fatto che questa vita produca frutti visibili nei rapporti e nella comunità. Tuttavia, le sue scelte e priorità erano ben definite. Nonostante il grande interesse che mostrò per la ragione e l’intelletto, nel suo pensiero la parte intellettuale era sempre dominata dalla parte spirituale, e le Scritture si sovrapponevano sempre alle speculazioni filosofiche.

Edwards non nascose il suo apprezzamento per una spiritualità fervorosa e intensa. Di fatto, è il teologo del risveglio, dell’esperienza, del cuore.[44] Ma questo non significa che l’esperienza sia il criterio della verità. Significa solo che il cristianesimo dev’essere esperimentale e pratico, non solo razionale e cognitivo. La norma suprema di fede e il criterio secondo il quale si deve valutare ogni esperienza religiosa è sempre la Scrittura. Curiosamente, Edwards pensava che non solo gli adepti del Risveglio potessero appellarsi erroneamente alle proprie esperienze personali soggettive, ma anche gli oppositori del movimento. Chi non avesse vissuto certe realtà spirituali, così come chi non avessero sperimentato determinati “affetti” religiosi nella propria vita, non avrebbe potuto appellarsi a questa mancanza di un’esperienza più profonda con Dio per condannare chi l’avesse avuta.

Per tutti questi motivi, Edwards è molto utile per le discussioni riguardanti la vera spiritualità. Il suo criterio di base per definire la questione è lo stesso che dev’essere osservato dalla chiesa contemporanea: verificare fino a che punto Dio occupi il punto centrale della vita, del culto, delle pratiche e della testimonianza. Oltre a dare avvertimenti riguardo all’emozionalismo, che agita le emozioni ma non produce trasformazioni durature, Edwards combatté anche l’errore di dare enfasi a sé stessi e non a Dio. In ultima analisi, ciò che determina se la conversione e la vita spirituale siano genuine o no, sono i loro frutti visibili: condanna del peccato, serietà riguardo alle cose spirituali, dare gloria a Dio, appello alle Scritture, cambiamento nel comportamento etico, rapporti personali trasformati e influenza generatrice nella comunità.

Per le note, vi rimandiamo all’articolo originale.

Traduzione Paini Alessia @FedeRiformata.com

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